domenica 17 gennaio 2010

EMME YA



la Parola è l’autrice di questi brani.

Parola qui, quasi silenziosa, poco appariscente, che vuole essere cercata,
come in una caccia al Tesoro


EMME YA

Per il popolo dei dogon emme ya è "il sole delle donne" o il "piccolo sole", ed è la terza componente del sistema Sirio, precisamente chiamato Sorgo-femmina.
Inciso:
"Ciò che è dentro è come ciò che è fuori e ciò che è fuori è come ciò che è dentro, per realizzare le meraviglie della cosa UNA"
da La Tavola di Smeraldo


vedi indice...

I PUNTI FERMI



Sopra Vittorio Veneto c’è una montagna che si chiama Pizzòc. Mio padre aveva là un pezzo di terreno: erba alta, felci, sassi, roccia… fragoline, stelle alpine, crotus… viperette…insomma, montagna.
D’inverno, con la neve è un incanto, d’estate… tutto un gioco.

* Accade, molto raramente ma accade…
Ricordo una primavera, una distesa di crotus. Un manto di velluto verde incastonato di viola, azzurri, gialli, tutte quelle testoline accese, ritte e immobili per regalarmi tale visione.

Oppure i lamponi o le fragole, ma quelle piccoline, vere, profumatissime e gustose. Certo, sempre con quell’ossessione della vipera sotto il sasso… ma la voglia di fragole vince.
E così, mi siedo, basta allungare il braccio, e raccogliere quanto voglio.
Un giorno ho pensato anche agli altri... così ho riempito un bel bicchiere di fragoline per portarle a mamma… poi il sentiero era accidentato e le fragoline zumpavano dicono i miei figli, le stavo perdendo così, piccolo sacrificio, mi sono fermata e… me le son mangiate tutte! almeno non le avevo raccolte invano…

* Accade, molto raramente ma accade…
Mi inoltro nel sentiero, esco dal bosco e continuo in questa montagna aperta tra sterpi e rocce, tra muretti di sassi posti a segnare i confini, oggi innocui e non più contesi, di poderi e proprietà… cammino sotto il sole e il cielo azzurro.
Spunto sul “davanti” del monte, ossia dalla parte che dà sulla vallata: Vittorio Veneto, Conegliano, il mio paese, tanti paesini, tanti campanili, i fiumi. Mi giunge anche il suono di qualche campana e questo mi fa avvertire il quotidiano, il presente di questo momento.

Accade… guardo diritto davanti a me, in fondo e ho davanti… Venezia.
Sì! Venezia! E, siccome oggi accade fino in fondo… individuo nitidamente: il Canal Grande, Piazza San Marco, il campanile, l’isola di San Giorgio…e la città.
L’Adriatico, le isole, la laguna, i sestieri.. ecco la Giudecca!… sposto lo sguardo: Marghera e i suoi vapori…Mestre… la campagna veneta. Che potenza! Che emozione!
Ma va!... sono circa cento chilometri!

Ti dico di sì.

Adesso immagina tu e… senti… senti ciò che sento io… che cosa ti attraversa davanti a tale visione.
Mi dico solo: questa è la vista che io voglio per me stessa e per tutte la cose del mondo, sempre.

* Accade, molto raramente, ma accade…
La sera del cinque gennaio, nella campagna veneta, è la sera del panevìn.
Arrivano i Re Magi, vengono ad onorare Dio tra gli uomini, portano regali da re a Gesù Bambino, anzi... ai Gesù Bambini. Bisogna indicare loro la strada… le strade! Ed ecco, nel cortile di ogni casa di campagna, al panevìn.

La tassa de fasine, quele che vèn scharpì le vide... qualche covertòn vecio… e la campagna s’illumina di mille e uno falò, e tutti atòno a cantar panevìn e a magnar la pìnza. È gennaio, se t’avvicini troppo ti scotti, se t’allontani senti freddo e così sta danza vicino – lontano, mentre le donne fanno le previsioni sull’anno che verrà in base a come vanno le faville… le moneghe. Si canta, si prega.

Accade… ti trovi non nella campagna, ma lassù, sul Pizzòc o sopra Vittorio Veneto e guardi la vallata… la vedi?
Vedi i mille e uno falò accendersi in tutto quel buio? Sembra un tracciato, una trama, una costellazione. S’è ribaltato il cielo! E le stelle brillano, s’accendono, s’alimentano, guizzano, s’espandono al canto del cuore degli uomini… qui!… sulla Terra!

Vedi? Senti? Senti!… ecco, una scossa ti attraversa la schiena… oh, la vita!
Mi dico solo: in ogni mio buio anche il più profondo buio… ho sempre sentito e sento le stelle e il canto degli uomini, delle donne, dei bambini.

* Oggi… oggi è un incanto. Sta accadendo!

Sono qui, appena sopra questo paesino del Tirreno. Plano, sì, questa strada che mi conduce in alto mi regala visioni: il mare, l’azzurro che si espande sempre più davanti a me.
Sento la forza di questa immensa distesa d’acqua, dei suoi colori, del suo suono silenzioso e possente, il brivido della sua profondità e vastità.

La forza della sua sicura e gratuita presenza nei miei giorni e, là in fondo… precisato all’orizzonte da un filo di fumo, lo Stromboli.
Vicine le isole: Panarea, Vulcano… Lipari…
Sposto lo sguardo più giù: un cono, l’Etna e la sua neve, il suo adagiarsi sulla Sicilia.
Ma va!

Vieni! Guarda! meglio… osserva, ammira, contempla… senti… il profumo delle zagare, la brezza tiepida, senti… l’emozione…

Oh, la vita! Vale la pena viverla!


Sono occasioni… accade… non puoi programmare questi eventi. Accade a te, a me che, chissà perché, oggi mi trovo qui. È il momento, il presente. Potevo essere da tutt’altra parte. Oggi sono qui.

Ecco: prender la vita così, ovvero è la vita che ti prende... tu assecondi una serie di coincidenze. Lasci fare agli eventi o... al meglio di te stesso che t’ha organizzato questo palcoscenico?
Questa visione? Che, oggi, ti chiama a contemplare tali bellezze?

Lascio fare… e la vita mi riempie di luce.

Emma

17 aprile 2009

MAMMA … ODORA… DI SANA PAZZIA



Essere conosciuta dall’altro da me, più che da me stessa.
Emma scoperta… messa a nudo.
L’attrazione… non sono io che attraggo. Sono attratta ma non in qualcosa di scontato, ovvio, stereotipato, ovvero già vissuto, ma perché l’altro ha una Parola, un Nome di me che io posso conoscere solo se “sto” alla comunicazione con l’altro.
“Essere guardata” e ne sono consapevole, nell’atto di “sentirmi guardata” qualcosa esala… qualcosa stilla… da me.

L’essere guardati attiva, sprigiona, una sostanza, un “fluido” un genere di “acqua” trasparente e luminosa, è… eros.
È forse questo il divino? Allora il divino… è vivo! Comunica, da dentro noi stessi, con molto più che le sole parole o le sole… benedizioni. Ovvero, il divino, che sta in noi, siamo noi, si manifesta… in sostanze, alla fine in… carne, psiche, anima… l’uomo, la donna, il bambino, tutti gli esseri dell’universo.

Intravedo qualcosa della condizione creatore-creatura. Come facciamo noi da quaggiù dove ci siamo inabissati, a renderci consapevoli di ciò che siamo nel nostro “essere creatori” di noi stessi e dell’altro (per quella “parte” in cui l’altro è parte della nostra creazione, che, l’altro ha tante altre parti di sé indipendentemente da me, come io, d’altronde).
Avverto “l’appartenenza”, ma con un’accezione nuova. Io, che ho sempre allontanato da me questa condizione.

Questo è l’eros, che è condizione-appartenenza sempre vitale e propositiva tra il creatore e la creatura.
Noi e tutti gli esseri che creiamo, noi e tutti gli esseri da cui siamo creati.
Il “guardare”, il “lasciarsi guardare” crea… l’attrazione.

E l’appartenenza, forse l’unica appartenenza possibile e accettabile, come la condizione madre-figlio, che sa lasciar andare sempre il figlio, altrimenti non si conoscerebbe, lei, la madre, nella sua stessa libertà e autonomia, nella sua grandezza.

L’attrazione genera una sostanza… lo vedete lo stelo d’erba luccicare nel prato alla luce del sole?
Lo vedete il tremore del ramo di ginestra attraversato dal calore giallo che illumina ancor più il suo colore?
Lo vedete lo scoiattolo danzare tra i rami? Per chi danza là tutto solo nel bosco?
Per nessuno, diremmo noi… invece egli fa una meravigliosa danza perché sa - che - sempre - “è guardato”, sempre egli “si lascia guardare” e questo “essere guardato” accende in lui la danza vitale.

Noi… anche quando crediamo di dare qualcosa… sono gli altri che ci stanno regalando più di qualcosa, ci regalano a noi stessi, perché, solo guardandoci, risvegliano in noi la forza vitale.

Ritrovo, al bivio di questo mio dire, gli archetipi… alef, bet… L’unità, il Tutto e in bet, la capienza. Bet accoglie tutto alef. A questo punto noi non esisteremmo… ma, in ghimel, terzo archetipo, tutto si mette in movimento…

In tanti modi hanno chiamato questa triade: Iside, Osiride, Horus… Brahman, Vishnu, Shiva… il Padre, il Verbo, lo Spirito… preferisco andare oltre ogni deificazione… stare alle “funzioni” alla realtà nuda e cruda, la sola, sempre vera.
Ghimel è… “guardare”, mette in comunicazione le nostre due dimensioni dell’essere Tutto ed essere sempre pronti ad accogliere il Tutto in ogni sua nuova manifestazione…, ghimel… infatti.
Da dalet, quarto archetipo (solidità) in poi, la vita e l’amore prendono infinite forme ed espressioni.

Emma

18 aprile 2009

DALLO SCOGLIO AL… CIVETTA



Terre, cieli e mari.

Oggi va così. Per scogli.

Sì, mi sono avviata per la solita passeggiata sul lungomare ma, troppo affollato, bisogna cercare altri ormeggi, far planare lo sguardo su altri tratti di spiaggia e di mare.
Si va a destra, immaginando di tracciare un nuovo percorso ed un nuovo momento con nuovi compagni di viaggio. È così per me, mi piace scegliere ogni volta chi voglio accanto a me a scrutare il mare, a chi dire col mio fare stupito: “Guarda… guarda!”. Chi voglio insieme a me, oggi, per contemplare il mare?

Oh, oggi la mia mente e ancor più il mio desiderio sono in letargo, strano, ebbene mi inoltrerò sola in questo nuovo tratto di spiaggia.
Alzo anche gli occhi al cielo e mi ricordo di un gabbiano che, forse viaggia in alto in alto, “Buon giorno, signor gabbiano… è vasto il cielo, azzurro e profondo… buon viaggio!”.
Laggiù, qualche pescatore… voglio la solitudine! il mio silenzio!!
Decido, lascio la stradina e punto sugli scogli.

Cammino spedita sulla sabbia, ecco iniziano le pietre, scelgo di saltare tra le più grandi, quelle più esposte all’acqua e ai flutti, quelle più spigolose. Perché? Non so.
Mi inoltro tra rocce e acqua che s’infrange. Ormai sono oltre la spiaggia, verso il largo dove le pietre sono grosse, a volte lontane tra loro, ancora ricoperte di questa sottile ed insidiosa alga che le rende scivolose. Sono state molte le mareggiate, spesso tutto era sommerso dalle onde.
Mi prende il gusto del salto, dell’instabilità del passo, dell’incertezza dell’appoggio e continuo. Sono presa ora, dal percorso, devo stare attenta a come appoggio il piede, a spostare con saggezza il peso del corpo, a scegliere il punto in cui il sasso non è bagnato, dove c’è un piccolo pianoro. C’è l’acqua tutt’intorno, a volte profonda a volte no ma… non mi va di finire in mare.
Ormai sono circondata d’azzurro, sento il suono dei flutti, parla il mare, sussurra, seduce.

Continuo, voglio la pietra più esposta, il pizzo più a picco… m’arrampico, uso le mani, il busto, le ginocchia. Fatico, scruto il possibile passo, giro, discrimino, scelgo. Oppure mi butto, faccio un balzo, devo trattenermi vado troppo veloce e rischio che la spinta del corpo mi faccia perdere l’equilibrio. Piano, piano! è come… come quando andavo per le rocce, lassù, sulle mie… montagne.

Sì, è vero… stessa tensione, stessa accortezza, stesso scegliere o rischiare, e faticare, col respiro lungo ma le visioni, le estensioni all’orizzonte… mie! caparbiamente conquistate.
Arrampicare, usare piedi e mani, corpo, occhi, cervello… respiro. L’attenzione, la centratura ad ogni passo. Ricomporsi, ritrovarsi, ri-fare il centro e la forza e la determinazione. Ritrovare il respiro, vedere, guardare l’abisso, ora acqua.

Sentire il brivido di quel ghiaione freddo, nebbioso e grigio, insidioso e pur accattivante, ora… sentire i flutti sfacciati… che non han paura dell’acqua, delle profondità... che mi sfidano.
Ecco! Ho ritrovato il mio mondo dell’impresa, dell’avventura, della fatica amata, incantata.

Oggi… sul Civetta: Coldai, Tissi e Vazzoler poi, scenderò tra i mirtilli.
Il mondo della sfida, mia, solo mia con la natura forte e severa. Quella che mi entra nelle vene, che mi fa sentire una con lei, dove sento il fremito tra me e me stessa, attraversata dall’aria, dal freddo o dal calore del sole che picchia. In fondo, è con i mari i cieli e le altezze dentro me che sto facendo i conti…
Continuo, sempre più verso ciò che è difficile, che impegna, il gusto della vincita. Qui mi piace essere vincente, arrivare qui, nel punto più estremo dello scoglio, nel punto più alto del monte, nel tratto di roccia più impervia.

Qui. Io “sono”. In fondo al mare o in alto, “pur umile… ch’è il monte che è alto”.
Ancora, avanzo, salto, arrampico, avverto il corpo spostarsi, aspettare, spiccare, forzare e faticare, imparare, pazientare, sapere… ascolto il mio corpo, lui sa quando può affrontare la prossima sfida, la prossima conquista, la pietra più in là. Un pensiero mi attraversa “se uno non si sperimenta sulla roccia, o in fondo al mare, non può saper fare l’amore”.
E una serie di pensieri attraversa la mia mente. Mi fermo un attimo, sì, è così, ma ora qui c’è di più del mio pensare, c’è la vita viva.

Sono al largo e mi fermo. Là, sotto di me l’acqua che si frange. Le rocce son tappezzate di lumachine di mare, di ricci. Vedo, bellissimi, rossi, e che rosso! dei giovani ricci di mare, attaccati saldamente alla roccia, che intensità! Mi sovvengono le stelle alpine…
Non si toccano né queste né quelli, come quando bambina lasciavo ciclamini, stelle alpine e rododendri… alla montagna.
Ora sto, protesa verso l’azzurro… tutto può aspettare.

Lascio che le visioni e i ricordi fluiscano in me, si intersecano e si sovrappongono immagini di monti e di mari, di greti di fiumi, di spiagge assolate, ghiacciai e timorose nuotate al largo.
Il respiro si fa profondo e l’essere uno con la natura trova dentro me una canzone che mi regalo.
Lontano la voce di un bambino… riprendo i miei salti verso la spiaggia.
Cammino spedita sotto il sole, mi giunge il pensiero di un gabbiano… talmente ero presa e centrata sul mio arrampicare tra gli scogli e le vette che… ma forse il gabbiano scrutava gli scogli…

Emma

25 aprile 2009



“COME SE…” IL MANDALA DI LUCE


La città si dipana laggiù in strade e rioni, poi s’arrampica sulle colline e il verde pian piano domina la scena.
Dall’altra parte c’è il mare, lo so, una virata e la scia bianca e imprecisa sulla spiaggia s’allontana, a delimitare quello spazio impermanente tra terra e acqua.
La scia si fa sempre più sottile, un’impennata ci solleva in alto.

Chiudo gli occhi, non voglio vedere le hostess e i loro gesti, affido la mia vita.
Solo un respiro accanto a me, è quanto mi basta sapere.

Mi sento mia… solo di me stessa e so che qui, questa mia appartenenza è salvaguardata.
Chiunque sta accanto a me deve essere così, solo di se stesso.
Le hostess hanno finito, potrei aprire gli occhi, volgere lo sguardo, parlare, organizzare qualcosina tipo: libro, musica, la comunicazione. Oh, no! Qui non ci sono regole per cui: mi permetto questo stare con me stessa, e non essere sola, quanto voglio.
So che non mi raggiungerà nessuna domanda o interferenza o curiosità… eppure so che sono guardata, osservata, custodita, curata.

Così voglio le cose: pure, nitide, essenziali. Voglio respirare, profondamente, in tutto.
Anche le piccole cose come partire per un viaggio.
Il massimo della presenza silenziosa.

Esserci, sentire di esserci, sentirlo così tanto che… è superfluo comunicarlo.
Anzi, dirselo, abbassa la portata di questo abitare sulla Terra.
Se sono tornata, se siamo tornati… è per brillare, per essere stelle.

Così il viaggio è mio, solo mio. Suo, solo suo.

Oh, viaggiamo sempre così, tutti, ciascuno nella propria astronave, soli e illimitati.
Tocchiamo stelle e galassie, ciascuno per conto suo, e sai perché?
Perché, perché, quando siamo partiti da lassù, o è un quaggiù? o un dentro? un tutto e dappertutto? abbiamo lasciato ben aperta la porta verso l’infinito.

Quindi noi due, stavamo là, ancora ci stiamo.
Come faccio a dirlo? Ehhhh… basta guardare come legge le mie poesie, come mi sta passando lo zucchero per il caffè.
Stavamo, stiamo in tanti qui, nella nostra galassia, balliamo, cantiamo.
Ma… io volevo… giocare.

Così mi sono guardata attorno, ho acceso un po’ di antenne, ho lanciato un “bip bip”, “joco joco”… “joco joco!”…
E continuavo la mia danza là, tra la polvere di stelle.
Era una scia il mio “bip bip” tanto che… ad un certo punto, qualcuno pattinava, volteggiava, danzava, accanto a me.
Sì, è così, come adesso che siamo qui, su due seggiolini di un aereo a continuare il canto e la danza.
Ma io volevo un gioco… piccolo piccolo, criptato e nello stesso tempo, potente.


- Ce l’ho dentro il gioco, vuoi sapere com’è?
Immagina un quadrante luminoso, tutto colorato. Hai presente un… mandala di luce?
Il mandala di luce è un pannello di bronzo, oro, anche ferro o rame, tutte cose che trovi tra le stelle. All’interno ci sono tanti tasselli di luci colorate. Ti metti vicino al mandala, lui s’illumina e le sue luci cambiano in continuazione, sembra che ti parlino, ti suonino qualcosa.

Il bello è che se ci vai davanti, al mandala, lui sprigiona una serie di colori con un certo ritmo, una certa tonalità lui, in quel momento parla… con te! E forse parla di te…
Sì perché che ci vada tu davanti al pannello, o ci vada un'altra persona, i colori cambiano! Cambia la risposta. Insomma ti incanta, ti prende; t’allontani e torni indietro, fai un gesto, una parola, un respiro e il mandala saltella di luci, risponde veloce o lento… dipende da te. Poi improvvisamente, una sequenza di luci nuove scorre, parte da un pannello e attraversa tutti gli altri, allora sai che ora stanno parlando tra loro, si stanno resettando su quello che tu hai detto e, prima di dare la risposta a te, si consultano. Lo senti… che stanno parlando di te con la luce… particelle di energia luminosa per dire che sanno di te, ti conoscono e tu, così, sai che… sei sempre luce. In qualsiasi cosa fai e pensi, loro, i tuoi mandala di luce, i tuoi pensieri alti e le tue strutture intellettive, ti vedono sempre fantastica incantevole e eccezionale, tanto che non ci può essere niente di meno che la luce per parlare di te.

Io lo vivo questo e mi sento… amata.

Dal pensiero? Sì, il mio pensiero ora mi dice quello che il cuore già mi ha fatto sentire.
Oh, che piedistallo di cristallo il mio!

Ecco, sono presa, esco dalla porta e tutto tace, le luci si smorzano. Rientro e tutto mi fa festa, i mandala s’illuminano per me!… capisci? altra vibrazione, altri colori, altra musica! Per me! È l’incanto. Comincio a girare, a solleticare le loro… mie parole magiche, fatte di colori e suoni, perché so, a questo punto che, essi stanno parlando con me, stanno parlando… di me.
E, da dove mi può venire tanta luce così “una” con me? L’improvvisazione di una vibrazione e di una risposta, per me, sempre nuova e avvincente… una luminosità così armoniosa e mia se non dalle… mie!… stelle!
Da ciò che sono... dentro di me!

Di più, sono io che parlo a me stessa con il linguaggio… delle stelle!
Qui, volevo arrivare, io.

Ora lo so. Oh! che giro lungo ho fatto tra compagni e compagne di viaggio per arrivare qui a chiacchierare con le mie stelle! Ora, sai che voglio fare? la porterò fuori di qui questa danza di colori e suoni, ora questa magia la voglio ritrovare e giocare... nel mondo!
Così, improvvisamente, il quadro luminoso si accende davanti a me, per me, grande e vivo, e mi parla con le sue luci… risponde al mio ultimo, per ora, Pensiero.
Parole di luce, di suoni ed armonie, parole… di stelle!

Sono parole intense, vive… profonde.

Ma non pensare ad una profondità sul “significato” come siamo abituati a coglierlo nel mondo di fuori.
Queste parole delle stelle hanno una loro profondità “fisica”, “spaziale”.
Le parole vanno dentro dentro. Dentro me? dentro chi? Dentro se stesse, avvolgendosi in me. Solo allora io le posso “sentire”, “ascoltare”, “toccare”, solo dopo che esse hanno conquistato un territorio in me, si sono sprofondate, impiantate, lunghe e profonde in se stesse dentro la mia carne e il mio pensiero.

Allora il loro parlare è un “risuonare” un distribuire potenzialità e significati che sono spaziali, temporali, sono forza, sostanza... parole che sono agire, fare, costruire, creare.
Mi vengono in mente i semi venuti dalle stelle… e al solo pensare questo, mille tempi, spazi, storie, conoscenze, spalancano le loro porte. S’illuminano antri lontani, caverne di roccia calda e accogliente. Bisbigli, segreti, sussurri… tutte le grandi tradizioni criptate e custodite, pronte per essere regalate al mondo.

Le Parole, a volte sono… specchi, mi riconducono a me stessa attraverso ciò che l’altro dice di sé.

A volte sono pozzi di san Patrizio, allora una sola parola apre mille e uno portali verso l’azzurro ma anche giù giù, verso il buio ma… là, in fondo, nel buio e nel freddo, sento… uno scorrere d’acqua, di freschezza che attira, mi fa sentire che posso, sì, posso andare in fondo ad una parola e in fondo a me stessa… anche salendo su un aereo con… non so chi, ad andare non so dove. Alla fine, una Parola incontrerò ed è sempre una mia parola.

Ecco, sembra che sto solo sul sedile di un aereo ma dove sono andata già? E il viaggio è appena cominciato! E ancora non sono sul mio rompighiaccio! Perché è là che sto andando. Io, sto andando a casa. Questo viaggio mi porta là nell’aurora, sto andando… dove nasce la luce. Dove io nasco, nuova, ogni giorno.

E ancora non ho detto una parola con chi mi sta accanto!

Perché perché, sai a questo punto... qui si attiva il mandala di luce!
Ogni parola, ogni sguardo… un rosone di mille colori, una sinfonia.
Ancora sto con gli occhi chiusi, ora me la gusto per me questa danza dei mandala, mi voglio impregnare di forze di luce perché… io voglio essere mandala, luce colore e musica!
Adesso proprio lo vedo, di più, lo sento e mi sento.

È un pannello luminoso… sono io.
Il mio corpo, la mia psiche, ogni attimo mille e mille pensieri, lo scorrere dell’energia colorata. Parti in luce, altre in ombra, la sorpresa, il lasciar fare all’impulso che, da solo, nasce dentro me e diventa i rossi i gialli, gli azzurri i viola di questa sinfonia che sono.
Io? Sì, insieme a tutti voi. I mandala comunicano sempre tra loro, è qui la loro forza, insieme alla sorgente in se stessi. Se dalla psiche viene il colore, dall’emozione viene l’intensità, la leggerezza e… l’attrazione che queste vivissime luci mi regalano. E… le emozioni, le attrazioni da dove nascono? Da tutti coloro che attorno a me brillano come me e con me interagiscono. Tutti!

Ma, dove sta ciò che mi dà l’emozione più intensa, di più, mi fa fare quel balzo che ho compiuto quando sono arrivata quaggiù, all’inverso? Ecco, la consapevolezza e la forza mi lanciano tra le stelle, diventano quella spirale sulla quale mi arrampico veloce e che ripercorre quel vortice in cui mi sono lanciata per arrivare qui, sulla Terra.
La consapevolezza viene dal… vedermi… sentirmi mandala di luce.
È il momento in cui la presenza a me stessa si apre, si apre la soglia e ciò che sono dentro è uno con ciò che sono fuori.
Tutto questo… è... nel momento in cui mi vedo e mi sento… mandala di luce.
Ora… dite tutto questo di voi. È così.
E io, interagisco con i miei fratelli, che si danno il nome di “mandala di luce”, “cavalieri della luce”, così.

- Ecco perché ho detto “joco… joco!”.

E, da lassù o laggiù, dove siamo Uno, è bastato un attimo di danza vicini e… e… siamo precipitati, dolce abisso! Giù giù, dentro noi stessi.
Un vortice, una corsa pazza e quasi inconsapevole, onde, particelle, atomi, molecole, dei semini ed un utero, sistemi e apparati… il mio corpo… il mio cervello, la mia rete di connessione… il respiro e caldi abbracci.

Io, davanti a tutto ho detto una “a”, ovvero ho messo chet, archetipo 9 - accogliere - cedere - lasciar fare e essere - insomma… il femminile e mi sono detta: “a.. a..”, “voglio essere donna!”.
Lui, lui che precipitava con me, s’è trovato un po’ spiazzato, non aveva scelta… gli sembrava, ma guardandosi meglio e poi, soprattutto… guardando me: “o” “o!” ha detto. È arrivato kaf, 11° arché - penetrare(!) - la freccia - la lancia… il maschile.
(Mi sto divertendo eh, a ritrovare questo deja-vu! mio figlio chiede: “Perché ridi da sola?”).
Ecco, è andata così, prima sono nata io… la donna, poi lui… l’uomo. La Genesi dice un po’ diversamente ma quello è solo uno stereotipo.
E così… dalla “a” di lei, è nata la “o” di lui.
Attenti, attenti con le parole, anzi, attenti già dalle lettere! Vi giocate la vita!

Quella letterina… “a”... “o”... sono arché.
Ora prova a dire lentamente: “Aaaa… rrrr..r…r …r … c..c..c… h..hhh…éé…ééé…” lo vedi l’arco? Traccialo con il braccio davanti a te… la vedi la letterina, il seme di luce brillante e fecondo che si dà un tempo e uno spazio nel percorso che il tuo braccio fa?
Stai conquistando un territorio nel vuoto del cielo dicendo e agendo una “a”, una “o” e qualsiasi altra lettera.

Prendi coscienza così, con questo semplice gesto, del tuo essere il creatore del tuo giorno.
La Parola è archè… ponte… seme tra l’abisso e il sole.
Ecco qua. Poi ci siamo paracadutati lontano, ma che vuoi che sia la distanza per chi… vascella nel cosmo!

Io, appena arrivata sulla Terra, mi sono divertita a fare la bambina impertinente e, quando ho fatto il passo di “diventare adulta” mi son tenuta ben aperta la porticina del “joco joco” e… non ho buttato la chiave!
Così, ogni tanto, mi “criptavo” mi avvolgevo nel mio mondo magico.
È da qui che un giorno… in fondo a me stessa ho percepito un “bip bip”… un “joco joco” sottile ma… unico, sicuro, inconfondibile!
È stato un attimo. Ho mollato tutto. Mi sono organizzata e ho seguito il fievole… di più, il piacevole “essere chiamata per nome” di quel suono.
Tanta nebbia, polvere, strade confuse, niente indicazioni di percorso… ma, qualcosa, dentro, “risuona” e risponde “bip bip”… “joco joco!”.

Così è accaduto! Davvero! È passato per un bip bip… passa per un impulso!
Ancora oggi. Ma è la vibrazione della mia vibrazione, per adesso. Tanto basta.
Ora… gioco… giochiamo quaggiù.
Come lassù. O è un quassù come laggiù?

“Bella stella dimmi tu? Cosa vedi da lassù?”.
“Da quassù io vedo te. Da quassù io vedo te…”.

Sì, così cantavo tempo fa mentre giocavo a palla in cortile. E poi:

“Bella stella dimmi tu cosa vedi da quaggiù?”.
“Da quaggiù io vedo te…”.

Ancora giochiamo… danziamo e cantiamo... ridacchiamo nel nostro mandala di luce.

Emma
5 maggio 2009

“BELLA STELLA DIMMI TU… COSA VEDI DA LASSÙ ?”…


Schemi
Stereotipi
Quadri concettuali
Abiti
Tradizioni
“così si fa…”, “così si usa…”

Modi contorti di leggere se stessi e le relazioni
La religione… del possesso, del controllo, del giudizio, del capo… questo il campo delle relazioni
Esigere da se stessi e dagli altri la… codificazione, ri-codificazione di codici di comportamento
Esigere che i figli mettano i piedi sulle orme dei padri…

Usare le comunicazioni per fortificare e difendere un “fortino” già superato e reso innocuo, se non ridicolo, da pensieri e agire universali (vedi tutti o quasi i media di oggi)
Fòttersi la libertà per l’immagine… il teatrino che ogni giorno mettiamo in scena

Vedere tutto questo dall’aereo, vedi le città.. le nazioni… sei ancora dentro gli schemi e le condizioni sopracitate…

Vederli dall’astronave li vedi da fuori, da quassù, o qua dentro

Ne vedi le origini oltre le strutture che si sono dati, soprattutto quelle che sembrano “uno” con le origini, invece sono ancora… proiezioni… interpretazioni, significati… applicati al fluire della vita e che spesso tentano di trattenere la vita.
Vedi le Parole dette che la psiche umana tenta di riattualizzare e riconfermare ogni volta che il sole rispunta all’alba.
S’è dimenticato, l’uomo, dell’attimo in cui s’è vissuto l’essere il “creatore” di quella Parola, di ogni Parola, e che, perciò, per ogni alba può darsi parole e creazioni nuove…

Cosa impossibile… fermare i pensieri e le parole… fermare l’amore, la vita.

Ma… dove sta la mia astronave? l’unica via di salvezza, ovvero di ri-sveglio?
Che significa… sono già sveglio, non ho bisogno di alcuna scuola, tantomeno iniziazione, né appartenenza
Basta che entro dentro di me e… mi ascolto, mi sento e…
ora solo sento e ascolto
che se mi parlo, parlo dal passato invece, prima devo arrivare nella mia Terra di mezzo
là, dove il Pensiero, la Parola fluttuano liberi e fecondi nella mia capacità di amare…
innanzitutto me stessa…

ciò che vogliamo essere e fare di più…
i pensieri, le lettere e le parole fondamentali viaggiano libere nell’etere, ovvero nel Tutto
nel quale sono sempre immersa

l’etere è… tutto l’amore, l’amorevolezza… l’accoglienza, la… maternità e paternità
il gioco ovvero il riconoscimento, la benedizione, le energie, il nutrimento
affinché ogni creazione possa venire alla luce e sostenersi.

L’astronave? Come trovo l’astronave in me? Come la accendo?

Basta che lo dici a te stesso… che te lo ripeti e che, ogni volta che ti viene una spinta, un desiderio, un’intuizione nuova, per quanto pazza possa essere, tu la segua, l’assecondi e la fai diventare vera, concreta e che te la godi.

Unica condizione… non voltarti indietro.

Ora lascia andare il passato, poi verrà, da solo, e verrà nuovo ad alimentare il tuo futuro.

Pian piano la tua astronave si sveglia e ti porta a spasso per il cosmo.
A questo punto è naturale, fisiologico, quel “te stesso” è tale solo se, insieme al ri-condurre ogni emozione e pensiero dentro te (vortice di energia in cui ti conosci e di cui ti nutri) anche li riversi fuori di te, in chi hai davanti (spirale di energia attraverso cui crei il mondo, giocando con il mondo ciò che sei).

Con la tua astronave viaggi… verso sempre nuove stelle e galassie… i tuoi più alti e creativi pensieri
i tuoi più corrispondenti e gaudenti… amori.


Bella Stella

… noi

5 maggio 2009

"Come se"... per me


dalle… mie!… stelle!
Da ciò che sono... dentro di me!
Di più, sono io che parlo a me stessa con il linguaggio… delle stelle!
Qui, volevo arrivare, io.
… …

Le parole vanno dentro dentro. Dentro me? dentro chi? Dentro se stesse, avvolgendosi in me. Solo allora io le posso “sentire”, “ascoltare”, “toccare”, solo dopo che esse hanno conquistato un territorio in me, si sono sprofondate, impiantate, lunghe e profonde in se stesse dentro la mia carne e il mio pensiero.

Allora il loro parlare è un risuonare …
ri-distribuire potenzialità …
e significati …
che sono spaziali, temporali …
sono forza …
sostanza ...
parole che sono agire …
fare …
costruire …
creare …

ri-conduco tutto questo alle mie strutture, sono le mie strutture intellettive che si stanno illuminando anche grazie a questa energia…
Le mie strutture intellettive che sono e possono molto più di quello che io credo di sapere di loro. Questa specie di… movimento di macchine… che con l’osservatore ora “punto”, ora metto davanti a me stessa e alla mia consapevolezza.
Avverto le strutture, stanno davanti a me e… sono io… e sento la forza. Sì perché sono mooooolto… incazzata e questa che è? forza… energia… sbruffetto di energia che mi serve, che m’importa come me la sono procurata, giocando senza regole, lo so. Importante che la veda e la sappia “usare”.

Questa ora mi serve.

L’avevo detto stamattina ancora nel dormiveglia, mente preparavo le carte di viaggio per questa giornata, che oggi volevo prendere visione e possesso delle mie strutture intellettive quelle che, nel mio linguaggio siglato - metaforico e criptato - ma neanche più tanto - chiamo la “Terra di mezzo”.

Ed è stato il primo cablogramma che stamattina ho inviato, appena arrivata nella sala comandi… “Mio caro... guardiamoci nelle… palle degli occhi… come abbiam fatto quel giorno, che io voglio andare là, che è un qua, in cui da sempre sto”. Ti ricordi? Uno sguardo che veniva da quale mondo? Ma che ha aperto uno squarcio che ancor oggi conduce tali messaggi. Ma ora qui, in questa connessione, io ci voglio stazionare “sentendo e sapendo” che sto dritta e piantata nelle mie strutture. Voglio sentirmi fremere in questa parte di me che sono. E so che ci posso arrivare da sola a conquistare i miei territori.

Sai quando dici “ho mal di pancia” sapendo che è della pancia che stai parlando perché ti senti uno con la tua pancia, o quando dici “ho fame- ho freddo”…
Ecco, ora voglio arrivare a dire “sento e so il mio pensare”... ma non quello logico matematico, musicale... poetico... ecc. ma quello... creante …

Sto in questo piedistallo che è la forza consapevole che sostiene e fa star ben dritta ogni parte di me, comincia da questo mazzo di energie che sono, passa per le particelle, gli atomi e via via fino a questo corpo e psiche, arriva al mio nome e va oltre, ai tanti nomi che mi do e, avanti, procede oltre… più dentro o più fuori, dipende da dove comincio a guardare me stessa.
Questa rete connettiva che sono, ciò che avvolge e permea ogni mia parte... questa, ora illumino con ‘sta forza… ovvero incazzatura che stamattina il mondo mi regala per avviare e far viaggiare la mia astronave.

Che le altre parti di me in cui sto sul mio piedistallo, quello esteriore, le parti che mi servono per capire e per discriminare il mondo, quello già creato, già conosciuto e che m’annoia… le parti che guardano al “fuori” vengono dopo e non mi interessano più di tanto ora.
Io… voglio… il mondo... di dentro.

Oggi voglio stare sulle mie strutture interiori più profonde e potenti… in .. con.. quelle che creano.
Stargate deve essere? Tu l’hai detto… e stargate sia... anzi già è.
Che l’unico spazio e tempo, l’unico cosmo da conquistare è quello dentro di me.
Qui c’è tutto... e non è poco.

E gli altri, il fuori di me, li incontrerò solo a partire da qua.
Dopo che, ogni attimo, ogni giorno, sono passata di qua, attivando questo osservatore, questo connettore unico, insostituibile, quello che mi dà il vero… il reale... non l’illusorio reale.

Sai che fanno a questo punto le… parole?

Le vedo… s’adagiano, s’allungano e distendono nel prato verde libero e infinito della mia psiche e, da qui, nel mio corpo. Tutto è, sempre, molto concreto. Le stelle sono fatte di… materia. La loro luce è… materia.
Le parole si sciolgono, diventano lettere, simboli, segni... ciascuna è un colore, una forza, una vibrazione, un filo d’erba, un soffio, un cratere, un torrente, una goccia d’acqua, un vapore, una fiammella, una formica, spirale o vortice di energia libera, un refolo di vento, un raggio di sole… uno sguardo, una carezza…
Mi stanno… inseminando.

Ecco, l’avevo detto… “mi volto verso me stessa e insemino il mio quotidiano. Solo io lo posso fare, fecondare la semente indivisa di me stessa alitando su ciò che ogni istante vivo”.
Tutte le Parole, tutte le Lettere che, libere, prendono possesso del prato, del bosco e del cielo, del mare che… sono.

Ma, stavolta, non sono parole vuote, non sono trombe spente e non suonate.
Queste parole hanno il suono, il respiro, l’energia, la consapevolezza e la forza dentro. Per se stesse. Risuonano.
Sono le parole come le usavano i grandi del passato, che passato non è, che è un qui e ora, per chi lo sa cogliere e lo sa cavalcare.
Parole-sostanza. Ekau.

E le avverto, le sento. Sperimento questo e poi, nelle interazioni col fuori di me, nel mondo, mi rendo subito conto se, ciò che si sta agendo, è un dire, un fare, un comunicare… una sostanza… un vuoto.. un nulla… fin qui tutto bene, tutto costruttivo e arrapante. Nutre e piace.
A volte, invece, sembrano parole ma, non le sento... allora sono dire, fare… aria… non conducono sostanze e… mi arrendo.
Sì, mi arrendo perché significa che debbo fermarmi un po’ con me stessa… lasciar ampliare lo spazio, il terreno dentro me in cui le parole vogliono venire ad abitare.
Per quanto mi riguarda è in me l’impasse, l’impotenza… l’infecondità della parola.
Sta nel fatto che, una parola nuova, un seme, non trova terreno sufficiente, adatto, fertile.
Direi, usando la metafora del prato per dire la mia psiche, non trova la sua “forma di creazione”, la sua “configurazione”.

Insomma, io devo lasciar fare all’inconscio in modo che dissodi, apra, liberi altra terra, altro spazio per parole nuove che qui vogliono abitare.
Il gioco non è in mano mia.

In fondo… le dinamiche son sempre quelle, si tratta di aggiornarle, tenerle sempre attive per gli eventi che vogliono attualizzarsi.
Gli archetipi? bè, qui vedo giocare chet, il femminile e kaf, il maschile.
Poi vedo fè, espansione e zain, andare dentro… andare all’eterno. Il gioco di fondo lo fa yod, la centratura insieme a scin… traslare, e nun... trasformare.

Oh, certo in una tale opera di ri-formulazione del mio “pensare” le funzioni fondamentali, meglio chiamate arché, sono tutte al lavoro!

Anzi, ora vedo anche un inciso più profondo. A livello della Parola che feconda… il gioco non è solo femminile-maschile, con chet e kaf… prima c’è una corrispondenza di archetipi più sottile e assolutamente necessaria ed è… chet-mem.
Il femminile chet, (9° arché) attiva l’alta parte di sé (il suo maschile recessivo) e va a scandagliare… mem… 13° arché, le acque da cui la vita trae origine e sostanze.
A questi livelli del creare va così… ogni esistenza feconda se stessa. L’anima feconda se stessa, kaf serve all’esterno per andare, grazie a waw (6° arché legame), grazie al gioco dell’attrazione, ad attingere nel pozzo delle proprie energie più profonde la forza per “voltarsi verso se stessa” e, con chet, fecondare la sua mem.

L’avevo detto che si sarebbero aperte le parti segrete del DNA, di noi stessi... quelle conoscenze criptate in fondo a noi, in quelle caverne e grotte in cui per millenni le abbiamo custodite.
È chiaro che… si tratta di altro e che, per aprirsi gli arché vogliono la dimensione... tempo, spazio, vibrazione, accoglienza, amore incondizionato, configurato nel modo che… permetta a loro di scendere, sciogliersi, adagiarsi, spaparacchiarsi, prendersela comoda, in questo prato-psiche. O è un cielo stellato? o una galassia?

Ma perché pensi che abbiamo scoperto Qumram, la stele di Rosetta, i geroglifici e quant’altro solo dopo secoli, solo in quel momento? Perché in quel momento l’umanità, tutta, aveva aperto la porta di quel messaggio dentro se stessa per cui, ecco che se l’è trovato fuori.
È sempre stato dentro di noi quel testo… e tutto va in questo modo.

Quando pensi che abbiamo visto che era la Terra che girava attorno al Sole? Peccato che poi ci siamo dimenticati di mantenere anche l’inverso che è il Sole che gira attorno a noi… Perché abbiamo conquistato questi movimenti interiori, questo interagire tra dentro e fuori noi stessi, solo allora abbiamo visto fuori ciò che s’è illuminato dentro.

E solo quando metteremo di nuovo tutti e due in funzione questi movimenti sia fuori che dentro: Terra e Sole – Sole e Terra, concentrazione ed espansione, ci equilibreremo fuori.
Che discorsi! Oh, lo sento il parlottare di quella parte di me beghina che continuamente dice: “ma questa chi si crede di essere! È pazza! che presunzione!” se la conosco questa parte! Per anni e anni mi sono creata fuori di me, personaggi che mi rimandavano questo e io… ci credevo.
Ma chi se ne fotte! delle mie voci interiori quando pretendono di trattenere il meglio di me stessa!

Io sento il brivido, l’ebbrezza della grandezza del mio universo! del mio volare alto! Me lo voglio permettere.
Sai che siamo noi? Detto dal massimo della mia consapevolezza e regalità di oggi… i servitori della Lettera, della Parola. Oh, che bella professione, missione, ideale, gioco… mi sono scelta quando sono venuta qui sulla Terra!

Ora, da questa postazione che sono… punto alla Terra di mezzo, in un attimo sono là, che è un qua… e, ora aspettati che da qui ti parli anzi, loro le Lettere, le Parole ti parlano.
Io, solo trasmetto.

Emma

5 maggio 2009

TERRA DI MEZZO (da Coscienza Cosmica)


Ogni luogo ha la sua “aria”
e improvvisamente il mare m’immerge in memorie e sentire… sospesi.

Sono appena a Villa San Giovanni e già questo stare dentro me mi prende. Lo sguardo vira su una nebbia, una bruma. Sotto i dirupi, poi colline e spazi aperti.
Sento che questa è una specie di "terra di mezzo" che sta in me, è il vuoto che sta tra me e tutte le cose e le persone del mondo. È uno spazio sereno e libero che pian piano s'è aperto in me dato che, crescendo, sono riuscita a fare il distacco dalle persone anche da quelle che amo e ho amato.

Questo spazio è lo spazio della mia anima, grande e sempre nuovo, qui non sono sola, questo spazio mi parla e da esso emergono cose sempre nuove.
La lettura della realtà si fa da fuori a dentro. Solo quando si decide che ciò che abbiamo davanti, fuori di noi, è il risultato del nostro pensiero e sentimento, cominciamo a comprendere il nostro pensiero, a vedere gli schemi. Solo da questo punto di contatto indissolubile tra pensiero e fatto, che nell’oggi viviamo come fatto-pensiero, possiamo renderci conto che siamo i creatori della nostra realtà.

Compreso questo possiamo iniziare ad evolvere la nostra realtà.

Noi creiamo il buio e le tenebre, la materia oscura dell’universo.
Cosa sono. Sono i pezzi di storia risucchiati e rinviati oltre la memoria. Sigillati, in uno spazio-tempo e criptati da un codice, una password.

Cos’è il codice o password?
È l’emozione di quel momento.
Nel momento in cui un evento-emozione viene sperimentato come sofferenza o come “troppo forte” rispetto alle mie attuali capacità di accoglierlo e viverlo oltre che elaborarlo in un qualcosa-qualcuno. Una parte di me agente (una mia parte chiamata angelo? ) mi salvaguarda, mi protegge dall’esperienza rimuovendola e la trasferisce oltre il velo-barriera del conoscibile, del razionale, nell’inconscio.
Lo deposita là e lo cripta.

Ecco la memoria profonda. Quell’esperienza criptata contiene un pezzo di me (altrimenti l’evento non avrebbe scatenato la reazione) e la tiene là fino al momento in cui io sarò in grado di fronteggiare quell’emozione.
Una parte di me andrà a cercare l’occasione per ricontattare l’evento-emozione criptati.
E il quotidiano si apre a incontri, eventi che sono connessi all’oltre, a ciò che sta ed è fuori dal tempo-spazio, oltre questa mia vita e questa storia.

Che cosa ri-contatta l’evento e lo può aprire?
Quale il centro d’ascolto, di ri-cezione?
L’emozione, questa dinamica energetica che funziona come un enzima e come l’enzima ha delle chiavi-codici che fanno da mediatori tra il mio oggi e ciò che incontro e l’esperienza criptata nel profondo.

Osserviamo le parole e le lettere: emozione – enzima
notiamo le lettere o archetipi in comune: e – m – z – n – i.
Potremo analizzare gli archetipi coinvolti, ma per questo rinvio a Archetipi e formazione.
Permessa, l’emozione, lasciata scorrere ed agire, funziona come l’enzima, aggancia e riporta in superficie, al di qua del velo, l’evento del passato connesso con l’oggi… e mi ri-conosco.
Lo sento, mi prende, m’avvolge, mi porta, si scioglie e, ecco colgo la forza… è una col pensiero lontano che ha fissato la forza, ne ha fatto un nodo, un ganglio criptato. Ecco, colto lo schema, mentre l’energia continua a scorrere, è sciolto.

La materia oscura, l’abisso, la zona d’ombra che tanto temiamo di noi stessi, dell’umanità, della creazione è questo.
Anche ciò che definiamo “Satan” è questo , è una grandissima funzione.
Ma finché lo reprimiamo, lo confliggiamo, lo ostacoliamo esso resta una forza che crediamo estranea e nemica.
Altro non è che una parte di noi stessi che vuole emergere e donarsi a noi in tutte le sue ricchezze.

Ecco perché l’età dell’oro è stata ed è sempre presente, è nell’oggi che abbiamo sempre vissuto. È capace di essere luce e ombra, bene e male, conosciuto e non-conosciuto, angelo e demone e, accettato di noi stessi, serenamente, ci fa espandere.

Lasciamola essere e lei diventa l’energia debole… più forte…
È possibile, basta che nel momento in cui vorremmo porci davanti all’emozione scomoda, “serpente che sale”, vorremmo bloccare…
basta dire… ma in fondo, che m’importa… lasciamola andare.

Emma

FAI “COME SE”… E COSÌ NACQUE QUELL’EREMO



“Lo senti… che stanno parlando di te con la luce… particelle di energia luminosa per dire che sanno di te, ti conoscono e tu, così, sai che… sei sempre luce. In qualsiasi cosa fai e pensi, loro, i tuoi mandala di luce, i tuoi pensieri alti e le tue strutture intellettive, ti vedono sempre fantastica incantevole e eccezionale, tanto che non ci può essere niente di meno che la luce per parlare di te.
Io lo vivo questo e mi sento… amata.
Dal pensiero? Sì, il mio pensiero ora mi dice quello che il cuore già mi ha fatto sentire”.
Oggi ho viaggiato tra tanti impulsi, anche contradditori.
Di fronte al mio piccolo io, che pretendeva di tornare indietro, la forza dell’andare avanti prevaleva, sempre. Ad un certo punto qualcosa ha vibrato dentro me, una scossa lunga, sentivo delle sezioni della mia mente “cliccare”, non è stato brutto, forse un po’ insolito. Poco dopo quella parola… ebbrezza… lanciata a razzo dentro e sentirne l’emozione. Forte e bella.
Poi… le solite cose ma, che strano, un nome ed un volto s’affacciavano con sempre maggior frequenza, forse perché sono di nuovo in questo posto che io sento “carico di alimenti prenatali”.

Strano davvero, era come se il mio blog, questo, si stesse ri-aggiornando, da solo, si stesse ri-formalizzando. L’ho visto… qualcosa di intenso, pregnante… si può dire? lo dico… “appregnante”... non trovo altro termine. Una forza diffusa vibrava e attraversava, impregnava, di sé il blog. Intanto sempre quel nome e quel volto e, nella mia mente passavano immagini, ricordi, luoghi e persone.

Mi dicevo: “Ma perché, ma no… ma no, devo andare avanti, non guardare indietro!”.
Ma… Carlo tornava sempre più insistentemente e il suo eremo, Spello e il Subasio. Ma dico! Oggi pensavo di essere in altra tenzone, in altro gioco, invece ora mi rendo conto che oggi il gioco è stato là, al Giacobbe, sulla strada della Chiona… tra quei cipressi e quegli ulivi.
Solo che io, presa, direi distratta da quello che mi sembra il mio oggi… mi son vissuta questo stare in Umbria… a flash.

Ma io l’ho detto in un racconto: “È importante immergerci nel mondo dell’illusione e perderci in esso, così distraiamo questa mente che vorrebbe essere onnipotente. Le diamo un giochino: il lavoro, i figli, la casa da pulire, lo sport, la religione, le transazioni da seguire, lei si distrae e, mentre lei è presa dal teatrino delle cose del mondo, il nostro Sé Superiore agisce liberamente, pienamente e gioca la nostra parte più consistente e segreta con la vita”.
Mi nasceva dentro anche la polemica: “Ma perché parli di lui!” questa, ho capito, è una delle mie voci boicottanti e sabotanti, quindi.. non ci confliggo ma non ne tengo conto.

Ma, in fondo… perché no?
Non ho paura di alimentare miti… proprio perché non temo che, parlandone, si possano alimentare.
Perché non dovrei parlare di Carlo, date che… mi piace parlare di Carlo?

Innanzitutto mi rendo conto che… sto permutando un mio vecchio pensiero.
Subito lo vedo nel suo studio, “Sorellina!”… “Ti leggo le pagine che ho scritto stamattina” e raccoglieva tutti quei foglietti azzurri o verdi, scritti a mano. Leggeva con la sua voce modulata... quasi silenziosa… si può dire? Un paradosso. Sì perché quando Carlo parlava del Vangelo, o della preghiera o del deserto… erano parole di … silenzio.
(mamma mia stasera ho cominciato, quasi costretta da qualcosa, a scrivere questo pezzo, ora allo spuntare della parola “parola” capisco che era l’unica cosa che potevo fare)…
Parlava Carlo?

o… suonava, cantava, dirigeva una sinfonia di suoni che venivano da... da chi? da lui? Dalla parola che leggeva e commentava o venivano… da tutte quelle persone che stavano là, nel chiostro del San Girolamo, sopra Spello, ad incontrasi, re-incontrarsi, pregare, cantare… mangiare insieme?

Sì, i suoni, le melodie stanno nelle Parole della Bibbia che lui leggeva o spiegava e, soprattutto, stanno nella Parola attualizzata che ciascuno di noi, ogni giorno, è.
Zikkaron del Signore, memoriale che si riattualizza nel qui e ora... l’Uomo, la Parola…
Vedi un po’, archetipo È, lettera 5 dell’alfabeto, simbolicamente l’albero con le radici alla terra e i rami a ricevere dal cielo...

Ancora: l’uomo, radicato a terra e con le braccia al cielo a cantare l’hallel, ogni giorno.
Oggi mi sento religiosamente cristiana… non succede spesso, ma accade.
Tutto questo Carlo ce lo faceva toccare perché partiva da un caso della vita e ti portava nel deserto, o in città, la stessa cosa e poi ti diceva: “Sorellina, Fratello, fai come se…” fai come se il tuo giorno fosse il giorno del Signore.
Quello che ti accade è quello che ti serve oggi, prendilo tutto per buono e dacci dentro e poi… sappi che non è vero niente. Accogli gli eventi come se fossero veri, reali e, quando hai giocato te stessa in questo, lascia andare qualsiasi cosa... è tutta un’illusione. E sorrideva sornione.
Poi citava Charles de Foucauld e, quello che non era riuscito a destabilizzare lui, lo lasciva finire dal deserto che ti faceva sentire dentro. Poi, se ancora avevi qualche orpello, qualche propaggine dell’io che non ti decidevi a lasciare, ti invitava ad andare una settimana in eremo… Anzi, no, prima tu sentivi un’attrazione, un desiderio intenso di una di quelle casupole nascoste sulla collina e poi t’arrivava, chissà come, l’invito di Carlo.

Oh, che poesia! tra quelli ulivi! Tutta sola! pensavi ma poi… diventava davvero eremo e solitudine e quel… “come se...” ti entrava dentro e diventava talmente tuo che da là in poi lo applicavi a tutte le cose della vita.
Così che, ogni giorno ha sua occasione per… ricondurmi dentro me stessa.

Questo accade oggi e, la musica del parlare di Carlo… mi accompagna.

La stessa musicalità la esprimeva quando parlava delle persone, dei ragazzi che passavano per gli eremi. Di noi, reietti dell’anno sabbatico… persi tra freddo, fatica e paturnie mentali che faticavamo a mollare.
Quando ci chiamava la sera: “Andiamo a vedere le stelle!” e da buon navigatore di deserti ci indicava le stelle, le costellazioni. Le nominava, s’appoggiava a uno di noi, alzava il suo bastone, lo brandiva nel buio del cielo e citava: “Il Carro, la Stella Polare, le Pleidai, il Cane, Sirio…Orione… Cassiopea…” e ci portava lontano, apriva strade vaste e profonde nel cielo, possibilità, progettualità che poi, ciascuno di noi andava a scavare e ritrovare dentro se stesso.
Vedo… un mandala.. un gioco di luci. Vedo gli eremi sulle colline, le cucine essenziali di queste case di campagna.

... la cappellina del Giacobbe, del San Girolamo, del Getzemani, del Sant’Elia, dell’Abramo, con quella roccia … la casa sulla roccia.
La cappellina dell’Abramo era la stalla di quella grande casa; ha, ancor oggi, un buco tra muro ed esterno… perché di là una volta scendevano le galline per andare a nanna.

Vedo… la Madonna di Orlando, la donna, i suoi occhi grandi e azzurri, persi in se stessi, ovvero, nel cielo. L’ocra dell’incarnato per dire che… di terra, amorevole e feconda, si tratta.
Vedo… le colline... i quadri di Norberto e... tutti quei ragazzi, il chiostro affollato, la liturgia, la celebrazione della Parola.

Che ci è successo?

Abbiamo perso? Scordato? Criptato?... oh, sì, tante cose sono continuate, tante no, è naturale ma… la vita.
So che con Carlo non ho finito di raccontare, so che lui si troverà, qui nel blog, i suoi interlocutori. Come già ha fatto, d’altronde. Chi l’ha conosciuto, chi l’ha letto… chi ancora ricorda e torna a Spello. Chi non sa, chi sa altro e va bene lo stesso.

Oggi, per me, è… quella sera. Tornavamo dal San Girolamo, Carlo guidava il suo maggiolino.
Invece della solita strada ha fatto il giro lungo per la Chiona ed è spuntato sopra al suo eremo, verso quello che allora era il Sant’Angelo. Da lì al Giacobbe una stradina sterrata tra viti e olivi.
Buio, Carlo spegne i fari e noi a preoccuparci. “Adesso siamo nel deserto, e ci guidano le stelle”.
La macchina prende la stradina e… uno zampillare incessante di lucine ci viene incontro sul vetro. Lucciole, lucciole, lucciole… infinite, innumerevoli, incessanti. Buio e tante luci vive… che mandala di luci! Che serata!

Una strada di luci per arrivare dove?
Dove il sorriso era sempre gratuito. Era… è... sul nome.

Sì, il sorriso è sul mio nome, sul tuo nome, sul suo…e suo… e loro… era personale, unico, individuale il sorriso e ti raggiungeva dentro.
Il tuo nome è, innanzitutto, una parola, la tua Parola.
Oh, magari non te ne accorgevi né mentre eri là né per anni, dopo. Ma, un giorno, quando finalmente apri la porticina del tuo eremo e… la richiudi per proteggere te stessa e la tua casa interiore, là, sulla soglia… senti e vedi quel sorriso.

Il resto lo fa la Parola. Quella che conduce le sostanze, e può essere qualsiasi parola, non solo biblica, anche quella di un ragazzo, di un libro, di una canzone… di tuo figlio, di un amico, di un ricordo. Di solito accade con una parola che… sembra destabilizzi, sembra ti spiazzi e ti deluda… tu l’accogli, fai come hai imparato a fare là, in fraternità, nel deserto, in eremo, a giocare, a fare i grandi, a fare “come se…”.

Accogli quella parola che ti sembra sbagliata, la lasci essere, agire, dire la sua anche se “sembra che la dica al contrario di ciò che a te serve”.
Invece, proprio quella parola, in quel momento diventa… quella voce armonica e sicura che ti chiama “Sorellina!” e che, bonariamente ma rigorosamente, ti ri-conduce dentro te.
Ti riporta dentro la tua casa. Lasci il “come se” e, chiusa la porta, ritrovi la via delle stelle…
e sai che nel tuo mondo interiore ti puoi avviare con fiducia.

Emma

Spello, 6 maggio, 2009

I GIORNI DI EMMA



Potrebbe essere il titolo di questa raccolta

Ormai non perdo più tempo a cercare spiegazioni, come nascono, perché, per quanto… i brani che scrivo.
So solo che da un certo punto della giornata un … indizio si mette dentro il mio pensiero. Oppure emergono emozioni che poi s’associano a qualche ricordo o ad un libro, un nome… e quel nòcciolo sta piantato dentro la mia testa, fa discorsi suoi, parla, spiega, s’allarga si restringe poi qualcosa mi porta qui e scrivo.

Oggi ero a Collepino, e tra le altre cose, sono andata per crespigne e raponzoli di roccia qui attorno, su questi versanti che si contendono la roccia rosa del Subasio e le distese di olivi.
Emma oggi s’è fatta sentire dopo tanto tempo. Dice che lavora… in un posto originale. Ma che ci farà, là.
Se vuole me lo dirà. Meglio glielo chiederò, magari la fa piacere sentire l’attenzione che ho per lei, passata in tanti anni attraverso il silenzio. Ma, viva.

Io conosco Emma grazie ad A.
Intanto lei ha il suo bambino, le sue giornate. Ora sono proprio curiosa di vedere che accade. Di solito, quando gli eventi accadono così, sono incanti.

Stasera penso a lei ma l’immagine nella mia testa è un’altra e non ci vedo il nesso, ma qui… non ci sono relazioni, regole, collegamenti, sintassi, rapporti causa-effetto… è tutto un altro mondo.
Ciò che continuamente s’affaccia in me è quel pomeriggio tra gli olivi di quell’eremo.
Era una casa di campagna serena, dolcemente adagiata tra il prato e il bosco. Tutta di pietra, io la guardavo e ci fantasticavo una bella villa. Il suo fascino era dato dalla sua età, dall’architettura umbra. I contadini umbri hanno un gusto nel fare le case, l’estetica è raffinata e sobria, una con la campagna, i dossi, gli olivi, le viti. Ma è molto molto di più, vanno solo viste queste case, e contemplate. Peccato che le hanno ristrutturate troppo.
Camminavo tra gli olivi, distratta, sentivo l’odore forte amaro di questo verde, c’erano anche molti rovi, ho lasciato la stradina per inoltrarmi sotto le piante.

Pensavo? È probabile, la mia testa funziona sempre… d’un tratto sotto i miei piedi sta una strana cosa.
Oh, ho pensato subito che l’avessero fatta i ragazzi che stavano in eremo quella settimana, ma questo non ha smorzato la presa, l’attrazione per … la cosa.
Un ovale di circa trenta centimetri fatto con le pietre. Anzi, due ovali, uno più interno, uno esterno e una croce in mezzo. Sotto questo ovale, l’erba era tolta e la terra appianata.

È stata un’emozione strana, un qualcosa che non sapevo dove collocare tra le cose che so, non molte. È stato un effetto nella mia testa.
Ho lasciato tutto così e sono andata al porticato della casa. Mi sono seduta un bel po’poi ho ripreso la mia strada. Quel disegno dentro, ma stavolta non sapevo che pensare… non è da me. Il fatto è che non mi andava neanche da fantasticare. Si potrebbe dire… uff, quante parole per una cosa strana. Appunto… il fatto è che restava quest’impressione dentro più intensa di ciò che quel cerchietto di pietre poteva essere.
(è un’impresa usare i tempi di verbi in modo corretto in un deja-vu).

Anni dopo leggo un libro su Sirio e trovo il sistema Sorgo-femmina, ecco ho davanti l’ovale.
Stasera di più non so, ma appena rientro recupero il libro e vado a curiosare.
Un altro ricordo ora s’affaccia. Quel giorno sulla spiaggia tra Vibo e Tropea, raccolgo i sassi e, non so perché mentre chiacchiero, li dispongo così… l’ovale e la croce al cento.
La persona che sta con me si gira di scatto e chiede… cancello subito il segno.
Questo tipo, che non mi corrisponde per niente eppure m’attira molto e, mi fa rabbia sta cosa, perché qualcosa di me lo cerca ma io… non lo voglio.

Chiudo tutto e non rispondo. Mi fumo una sigaretta e dico: “Fa freddo, andiamo via”, m’attira… ma è tutta una contraddizione.
Oggi mi dico che quella era una situazione da accostare al contrario, all’opposto.
Anzi, ora so, tutta questa storia va accostata... nel paradosso, nel suo contrario.
Mi sa che la dinamica del paradosso è un portale.
Perché scrivo ‘ste cose?
Qui non ci sono perché, al massimo può accadere che ci siano… “come”.
Sento che appena torno vado a trovare il sistema Sorgo-femmina.

Intanto girando per la biblioteca di questo posto in mi sto gustando amici e brezze umbre, un piccolo indizio l’ho trovato:
Sorgo-femmina è chiamata dai dogon… emme ya.

Il sole delle donne.

Riporto tale e quale: “Quel popolo (i dogon) assegnava a Digitaria maggiore importanza che alla più grande e luminosa compagna, benché non fosse visibile, e sapeva anche che un terzo corpo luminoso che chiamava Sorgo-femmina emme ya, “il sole della donne”, o “il piccolo sole” (designato da Temple come Siro C), a cui si accompagnava un pianeta satellite detto la “stella delle donne”. Sorgo-femmina, ritenuto più grande di Digitaria e quattro volte più leggero, era la sede delle anime femminili di tutti gli esseri viventi e futuri.
Quella stella delle donne è rappresentata da una croce con i bracci eguali e designata da tre punti, simbolo maschile dell’autorità, circondati da sette punti più grandi, o se vogliamo, quattro punti (femminili) più tre (maschili), visti come le anime dell’uno e dell’altro sesso”. (Merry Hope, Il segreto di Sirio, ed. TEA, pag.100).

Tengo sempre conto del fatto che: qualsiasi cosa: oggetto, evento, persona all’esterno di me altro non è che… il segno, l’indizio di un qualcosa di vero e sostanziale che sta dentro me.
Così per tutti, nel mio mondo.

Mi sa che non finisce qui…














SIRIO… PULSA



Voglio parlare del passato che è… oggi.
Il passato è semplicemente ciò che stiamo vivendo nella vibrazione accanto.
Nel nostro quotidiano già abbiano aperto un’altra pagina delle innumerevoli di questo libro che siamo. Un altro spazio-tempo-vibrazione. Così so che s’è risvegliata un’altra vibrazione, ovvero è sempre stata accesa solo che ora è più in luce.
So anche che questo campo vibrazionale s’è aperto ora perché… ha un suo perché e io scrivo da questa onda di creatività, intuizione che è anche cronaca.
So anche che questa vibrazione è bella e accattivante, e che, finito di far scaturire dagli antri della mia psiche e della mia anima quanto qui stava criptato, connesso a quest’onda, si metterà in fila, come tutte le altre, perché so che altro avrò da vivere e da dire poi.
La vita mi piace così, sempre nuova.
Anche sempre molto concreta. Perché, e solo perché mi vivo il qui e ora senza remore e paletti, poi riesco a toccare e comunicare questa dimensione “sostanziale”, “creante” della Parola.
Questo è il canale in cui mi sento inserita, altri perché sarebbero solo contorcimenti mentali.
Quindi da questa vibrazione che mi fa stare in questo campo col pensiero, con l’attrazione e l’emozione, dico che “siamo ora” il passato e più ci inoltriamo in questo passato che siamo, più creiamo futuro e più potenziamo la disponibilità a farlo accadere al massimo. Che significa semplicemente: accogliere, accettare, lasciar fare a ciò che ci viene incontro, o ci casca sulla testa, senza voler interferire. Più riesco a lasciar accadere gli eventi, più permetto al nuovo di “precipitare” nell’oggi.
Nel quotidiano parlo e mi oriento sapendo di essere … dove di fatto voglio stare.
Gli eventi si susseguono più velocemente e si allineano con più facilità ai miei progetti.
Però bisogna dire che la mia Terra di mezzo è molto più precisa e attiva.
Meglio, la Terra di mezzo, è sempre stata presente e funzionante e… non è mia.
Essa è questo spazio tra la psiche e l’anima ed è di Tutti.
Ovvero è un campo, una dimensione cosmica… del corpo e dell’anima, che sta in ciascuno di noi e che tutti insieme partecipiamo. Sta nella pianta, nell’animale, nella stella, nella particella, nella roccia, nell’acqua… insomma in ogni realtà esistente ed è propriamente quel luogo dove stanno gli arché.
I principi primi, quelli che già Platone ed Aristotele chimavano “i mattoni dell’universo”.
Detto più semplicemente, noi sempre accediamo a questo livello e da qui creiamo la nostra realtà.
Solo che, non sapendolo, la viviamo poco e al contrario.
Siamo abituati a prendere la realtà esterna per vera e ci mettiamo ad interagire, a confliggere, a volerla modificare.
Invece la realtà esterna è solo lo specchio, l’indizio, il segnale per dirci: “Ascolta, guarda dentro di te in… corrispondenza, in… correlazione con ciò che senti e vedi fuori”.
Ciò che conta, che vale, che è “sostanza” è dentro te, che il fuori è illusione.
Anche quando, finalmente, cogliamo la verità e la pregnanza di questa affermazione, di questo campo, ce ne vuole perché ci assestiamo e agiamo definitivamente da questo.
Ma accade.
A volte, senza volerlo, interferisco con l’accadere degli eventi. Questo accade quando ci penso.
Qualsiasi gesto faccia, qualsiasi parola dica, va bene. È ciò che in questo momento va “fatto” per fare il passo, il tassello di concretezza che sta creando il mio oggi.
E va bene e, se io non ci metto il mentale, ossia l’ossessione di cercare la conferma, la spiegazione, il giudizio, l’omologazione su ciò che ho detto o fatto, l’evento è vissuto, lascia la sua energia e se ne va e mi fa fare il passo avanti.
Avanti avanti, senza guardare indietro.
Come fa l’aereo, come fa l’aquila, la rondine, l’anatra, il cigno, tutti i volatili? Guardano solo avanti, spingono le ali in avanti, mica stanno là guardare se il battito d’ali appena fatto va bene o no. Che succederebbe?
Invece noi... un battito avanti e uno in caduta... o indietro.
Sì, ma questo si sa e non sto qui a dire quanti livelli di coscienza e di agire ha questo applicare il mentale all’essere.
Ecco, questo però è un punto su cui guardare, perché diamo per scontato che certi livelli dell’agire non si toccano, non si scostano né si cambiano.
E così ci fermiamo a certe altezze, a certi voli e non ci libriamo oltre, e rifacciamo sempre gli stessi giri. Insomma, anche qui Jonathan Livingston ne sa e ne fa più di me.
Ecco, è sui livelli di realtà, sulla qualità dell’esistenza che ci sarebbe da guardare. E non dico ci sarebbe da dire… che ascoltare, osservare, guardare, cogliere le dinamiche e il senso… basta.

Vedo i luoghi e le dinamiche del pensare… ed è su essi che intendo indagare maggiormente perché , il fatto che vorremmo vivere una determinata esperienza ma ancora non la gustiamo, sta nel fatto che ancora agiamo con il pensiero e l’energia con scarsa esperienza su come i vari campi del pensare, funzionano.
Alla base c’è, questo è sicuro, l’atteggiamento dell’accoglienza ed accettazione di ciò che ci accade, è il primo amore per noi stessi.
Fondamentale.
Sull’amore per noi stessi, per l’altro e gli altri, sull’amore in sé, ho già detto, qui voglio soffermarmi sul… pensiero creante e le sue dinamiche.
Per ora intravedo tre campi, o tre fasce o tre territori.
Che sono corrispondenti ai livelli di realtà. In effetti i livelli di realtà sono tanti, questi sono i fondamentali.
La realtà dentro di noi
La realtà fuori di noi.
La realtà del pensiero creante…

SORGO-FEMMINA E GLI ARCHÉ



“Esistono tuttavia certi geroglifici…”.

So che tutto è realtà e tutto è metafora.
So anche che tutto quello che rincorriamo definito come: l’altra parte di sé, l’anima gemella… e qualsiasi altro ente cui aspiriamo fuori di noi sta… in noi.
Oh, quanti giochi, quanti equivoci, quanti fraintendimenti! Assurdi paradossi e contrari! Perché la realtà ci prende, ci attira e… sentiamo.
Il sentire avvince, si crea il campo di connessione, gli esperti lo chiamano campo morfogenetico…
Lui e io… un sentire, un incanto. Tutto che si muove e si rimescola…
Qui è il gioco: “fare come se” entrarci fino in fondo e tirasi sempre fuori.
(che linguaggio!)
Quando entri energeticamente, sostanzialmente in questo “osservare”, “guardare” le cose le persone e gli eventi, il linguaggio, naturalmente si fa erotico, e bisogna saper andare al di là, all’inverso, a ciò che il linguaggio conduce ma è oltre…
Il linguaggio si fa “ordinario” nel senso di semplice, puro. Si può dire tutto, viene naturale dire di tutto e ironizzare. L’ironia dice un livello di realtà, per arrivare alla leggerezza ed ironia bisogna lasciar andare i giudizi, gli schemi e stereotipi.
Il linguaggio erotico riesce a condurre il senso delle cose nella sua valenza più forte e aderente a ciò che una cosa o un evento è.
Quando sei all’ironia e al linguaggio erotico sei… libero.
Puoi stare dove sei, tutto va bene, tu sei tu e i fatti, i sistemi, le norme, le regole, l’organizzazione del tempo e spazio all’esterno non ti tocca più.
Non hai bisogno di spiegare, né di avere compagni di viaggio. Tanto sai che, ciò che ti serve, ciò che fa parte di te, nel qui e ora, in questo pezzo di viaggio, lo hai.
Finiscono i rituali, le carriere, il bisogno di manipolare e di darsi senso e ragioni.
Finiscono gli scrupoli, i sensi di colpa, il dover essere.
Sorgo-femmina… che nome! Ancora non l’ho capito. Per noi il sorgo è un seme, è un alimento per gli animali.
Che c’entra con le anime femminili degli esseri?
Ma sicuramente, gente intelligente come i dogon chiama così una stella sapendo quello che dice.
Se serve lo saprò.

Trovo l’origine delle lettere ebraiche nei geroglifici: Reu Nu Pert Em Hru.. non sto dicendo niente di nuovo e lo dico da quel poco che so.
Non è questo che m’interessa. M’interessa solo risvegliare queste lettere potenzialità… pronunciandole.
Attivarle, dare loro il respiro… dare loro vita, e… solo io posso farlo.
Ovvero solo ciascuno di noi.
Oh, non intendo solo noi umani, intendo tutti noi che respiriamo. Tutti noi che siamo mantici, canali, trombe, clarini, pompe… del cielo. Dell’aria e del suo “fuoco”.
L’aria… l’altra parte della Terra che sta appena la Terra finisce, è fuoco di energia.
È sostanza. È suono, vortice, voce, alito, senso e vento cosmico.
Che sto dicendo! Ringrazio tutti i miei catalizzatori che mi hanno permesso di fare questa scuola di… dire le cose senza barriere, senza paletti. Fare ciò che tira di fare, senza resistere né trattenere.
Grazie a loro, alla loro pazienza e comprensione, riesco oggi a tirare fuori questo.
E sono sempre più convinta che ciascuno di noi può manifestare il meglio di sé, per quanto originale e strano possa essere. Quando ci si inoltra in questo aprire se stessi, ci si rende conto che… niente di meno si potrebbe pensare, dire e agire se non il livello che di sta vivendo.
E l’autostima cresce.
Stanno nascendo delle altre e vaste connessioni tra tutti noi che ci lanciamo in questo dire e fare… senza paletti.
Sorgo-femmina… un ventre, un otre aperto al vento. Una zampogna di suoni.
“Esistono tuttavia certi geroglifici, riferiti specificamente a questioni spirituali o transpersonali, che sono indispensabili, io credo, per comprendere la religione egiziana e gli individui che trasmisero originariamente quelle concezioni. Per gli antichi egizi, l’economia spirituale costituiva un complesso dove entravano svariati “veicoli” considerati essenziali per il raggiungimento dei piani sottili e che possiamo così enumerare.
Il Sahu, o corpo spirituale, intimamente astratto
Il Khu, o spirito, la magica essenza
La Ba, o anima, probabilmente il corpo etereo
Il Ka o doppio, il corpo astrale
Il Sekhem o “potere”
L’Ab, sede dei sentimenti
Il Khaibit, o l’ombra, ovvero l’inconscio
Il Ren, o nomre, il suono personale
Il Khat, o corpo fisico, il corpo deperibile.
Questi concetti possono essere equiparati a classificazioni con generi di tradizioni arcane e sistemi di psicologia transpersonale che si riferiscono a livelli di coscienza o a frequenze progressivamente accelerate, come i corpi Eterei, Astrali-Mentali, causali, e Spirituali; Atma, Buddha, Manas, Kama, Prana e Rupa; e via continuando con cataloghi di consimili nomenclature.
Insisto col dire che qui non si fa… cultura, si vuole solo “chiamare”, far risuonare, ridare la funzione energetica a tutte queste lettere, che, dal passato, ci raggiungono nel nostro oggi.
È la strada per diventare i creatori della nostra realtà.
Il dio della Creazione per gli egizi si chiama KHEPEHR … K Fè Res
Ora, stamattina mi sembra di percepire questo spazio-tempo.. a metà, la terra tra denrfo e fuori. Questo paszio soltile, lungo, breve, vasto e sottuikle, dpende dal momento e daciò che sta diventando concretezza.
Noi a volte ci diciamo l’un l’atro: “Ti gurdo… ti sento… ti osservo... ti desidero… ti penso”.. e agiamo o riteniamo di agire questi atteggiamenti con l’altro da noi stessi, fuori di noi. Riteniamo che, se non abbiamo un referente all’esterno, queste dinamiche non le possiamo vivere e possiamo sentirci soli, o non cercati, non apprezzati… insomma mettiamo su una serie di inutili e vuoti percorsi mentali.
Queste dinamiche che pensiamo di agire con l’altro o che riteniamo o desideriamo che l’altro agisca con noi, hanno il loro giusto e “funzionale” valore... all’interno di noi stessi.
Per farla breve e tentare di metterci subito nella centratura di quanto stiamo qui indagando, quando dico: “Ti guardo” significa… “mi sto guardando e - guardando me - in me - trovo una parte che corrisponde a te”.
“Ti osservo”, che è diverso dal “guardo”… significa: “mi sto osservando e - osservando me - in me - trovo una parte che corrisponde a te”.
“Ti sento…”. “Ti desidero”…
Proviamo a dire così, a pronunciare per noi stessi tutto questo processo così come l’ho descritto e ascoltiamo…
Sentiremo che l’attrazione pian piano si sposta dal fuori al dentro noi.
Cominciamo a sentire che “ci siamo”, ci siamo per noi… cominciamo a avvertire la curiosità, la spinta, l’attrazione per ciò che siamo e ci viene il gusto di saperne di più, su noi stessi, a questo punto. E l’altro? L’altro che ci ha permesso di attivare questa dinamica? Di renderci conto di come veramente stanno le cose?
Lui, lei, è là, dove vuole essere e, per conto suo, sta facendo lo stesso percorso.
Un po’ di giorni così, con questa prima attenzione e sollecitazione a ri-condurre dentro noi ciò che vorremmo agire fuori e, ecco, avvertiamo un guizzo dentro, una leggerezza, una gioia sottile che si sveglia, ci anticipa, si rende presente e sempre più ci sposta dalla nostra apatia, dal nostro torpore verso la gioia e la vitalità.
Cosa è successo?
È la Sorgente, la Fonte in noi che si sta attivando.
A questo punto, non so perché, nella mia mente sui presentano gli arché. Anzi un po’ forse lo so, perché sto andando in parti di noi che erano criptate, sto andando in quella Terra di mezzo in cui gli arché, i principi primi fluttuano liberi e puri, sganciati da qualsiasi forma di pensiero e di emozione, di vibrazione, di energia, in cui essi si danno.
Si presentano i cartigli con i nomi delle divinità egiziane, i cinque neter epagomeni: Osiride, Iside, Horus, Nephtys, Set e altre divinità minori.
Oramai sappiamo che gli dei altro non sono che le parti di noi stessi, le nostre funzioni. Ed è così che vanno ricontattare, non solo quelle egiziane, bensì gli dei, i…i “Dio” di ogni religione. Vanno fatti scendere dal piedistallo, così come noi a questo punto ci de-potestiamo dal nostro piedistallo, e, gli dei, vanno presi per quello che sono: funzioni delle nostra psiche. Questo vale per gli dei e vale per noi stessi, ma tutto vien naturale e viene da sé appena ci si rende conto che… Dio e io… sono correlativi e hanno la stessa dimensione e funzione. Solo va ri-condotto dentro ciò che insistiamo a voler guardare da fuori.
Perché, perché contattarli da dentro, sapere che siamo noi… significa assumersi tutta la responsabilità di ciò che si è e di ciò che si sta creando.
Gli dei non vanno concepiti come “identità”, “enti” (noi li pensiamo così finché noi stessi stiamo nell’io) gli dei vanno intesi, colti nella dimensione del loro essere “funzione” “dinamica” e come tali vanno usati. E loro questo vogliono. Meglio detto: le nostre strutture intellettive solo questo aspettano, che le mettiamo in funzione al massimo.
Ma per fare questo bisogna esserci assisi sul nostro trono, ovvero essere arrivati all’autonomia, alla libertà e unità interiori.
A questo punto sono loro ad essere usati da noi, non noi da loro. Perché qui l’unico Re è... il cuore dell’uomo.
Chi scende, o facciamo scendere dal piedistallo, altro non è che il nostro io. È una faccenda vecchia che già ho sviluppato in tanti modi, ma è così.
E dico: quando in una interazione si entra in distonia, quando qualcosa fa sì che non ci si capisce più nonostante le buone intenzioni, quando ci si allontana, alla base c’è l’io. Due IO non possono interagire, perché l’Io funziona col pensiero tautologico “io e solo io e prosegue con il pensiero dicotomico: “o io o tu” che conduce alla separazione: “io, e tu soccombi”.
Ma chi soccombe, l’altro io?
Sì, nel gioco degli Io resta in campo un solo io, non c’è alternativa è proprio il tipo di pensiero che è fatto così.
Ma nel gioco delle perone, che sono molto più del loro io, l’interazione prosegue, checché non sembri, si allarga e si colloca in altri livelli di comunicazione e di realtà.
Sempre Tutti Uno siamo.
Torniamo ai Keter agli dei egiziani e a questi direi che vanno accosti i… 72 nomi di Dio della tradizione ebraica. Sia quelli egiziani che quelli ebraici stanno a dire… “dei”... ovvero… aspetti, della personalità umana. Dinamiche, modi di essere e di fare, situazioni dell’uomo.
Tutto ri-condurre dentro noi stessi e tutto si attiva e funziona in noi.

… continua…