domenica 17 gennaio 2010

DALLO SCOGLIO AL… CIVETTA



Terre, cieli e mari.

Oggi va così. Per scogli.

Sì, mi sono avviata per la solita passeggiata sul lungomare ma, troppo affollato, bisogna cercare altri ormeggi, far planare lo sguardo su altri tratti di spiaggia e di mare.
Si va a destra, immaginando di tracciare un nuovo percorso ed un nuovo momento con nuovi compagni di viaggio. È così per me, mi piace scegliere ogni volta chi voglio accanto a me a scrutare il mare, a chi dire col mio fare stupito: “Guarda… guarda!”. Chi voglio insieme a me, oggi, per contemplare il mare?

Oh, oggi la mia mente e ancor più il mio desiderio sono in letargo, strano, ebbene mi inoltrerò sola in questo nuovo tratto di spiaggia.
Alzo anche gli occhi al cielo e mi ricordo di un gabbiano che, forse viaggia in alto in alto, “Buon giorno, signor gabbiano… è vasto il cielo, azzurro e profondo… buon viaggio!”.
Laggiù, qualche pescatore… voglio la solitudine! il mio silenzio!!
Decido, lascio la stradina e punto sugli scogli.

Cammino spedita sulla sabbia, ecco iniziano le pietre, scelgo di saltare tra le più grandi, quelle più esposte all’acqua e ai flutti, quelle più spigolose. Perché? Non so.
Mi inoltro tra rocce e acqua che s’infrange. Ormai sono oltre la spiaggia, verso il largo dove le pietre sono grosse, a volte lontane tra loro, ancora ricoperte di questa sottile ed insidiosa alga che le rende scivolose. Sono state molte le mareggiate, spesso tutto era sommerso dalle onde.
Mi prende il gusto del salto, dell’instabilità del passo, dell’incertezza dell’appoggio e continuo. Sono presa ora, dal percorso, devo stare attenta a come appoggio il piede, a spostare con saggezza il peso del corpo, a scegliere il punto in cui il sasso non è bagnato, dove c’è un piccolo pianoro. C’è l’acqua tutt’intorno, a volte profonda a volte no ma… non mi va di finire in mare.
Ormai sono circondata d’azzurro, sento il suono dei flutti, parla il mare, sussurra, seduce.

Continuo, voglio la pietra più esposta, il pizzo più a picco… m’arrampico, uso le mani, il busto, le ginocchia. Fatico, scruto il possibile passo, giro, discrimino, scelgo. Oppure mi butto, faccio un balzo, devo trattenermi vado troppo veloce e rischio che la spinta del corpo mi faccia perdere l’equilibrio. Piano, piano! è come… come quando andavo per le rocce, lassù, sulle mie… montagne.

Sì, è vero… stessa tensione, stessa accortezza, stesso scegliere o rischiare, e faticare, col respiro lungo ma le visioni, le estensioni all’orizzonte… mie! caparbiamente conquistate.
Arrampicare, usare piedi e mani, corpo, occhi, cervello… respiro. L’attenzione, la centratura ad ogni passo. Ricomporsi, ritrovarsi, ri-fare il centro e la forza e la determinazione. Ritrovare il respiro, vedere, guardare l’abisso, ora acqua.

Sentire il brivido di quel ghiaione freddo, nebbioso e grigio, insidioso e pur accattivante, ora… sentire i flutti sfacciati… che non han paura dell’acqua, delle profondità... che mi sfidano.
Ecco! Ho ritrovato il mio mondo dell’impresa, dell’avventura, della fatica amata, incantata.

Oggi… sul Civetta: Coldai, Tissi e Vazzoler poi, scenderò tra i mirtilli.
Il mondo della sfida, mia, solo mia con la natura forte e severa. Quella che mi entra nelle vene, che mi fa sentire una con lei, dove sento il fremito tra me e me stessa, attraversata dall’aria, dal freddo o dal calore del sole che picchia. In fondo, è con i mari i cieli e le altezze dentro me che sto facendo i conti…
Continuo, sempre più verso ciò che è difficile, che impegna, il gusto della vincita. Qui mi piace essere vincente, arrivare qui, nel punto più estremo dello scoglio, nel punto più alto del monte, nel tratto di roccia più impervia.

Qui. Io “sono”. In fondo al mare o in alto, “pur umile… ch’è il monte che è alto”.
Ancora, avanzo, salto, arrampico, avverto il corpo spostarsi, aspettare, spiccare, forzare e faticare, imparare, pazientare, sapere… ascolto il mio corpo, lui sa quando può affrontare la prossima sfida, la prossima conquista, la pietra più in là. Un pensiero mi attraversa “se uno non si sperimenta sulla roccia, o in fondo al mare, non può saper fare l’amore”.
E una serie di pensieri attraversa la mia mente. Mi fermo un attimo, sì, è così, ma ora qui c’è di più del mio pensare, c’è la vita viva.

Sono al largo e mi fermo. Là, sotto di me l’acqua che si frange. Le rocce son tappezzate di lumachine di mare, di ricci. Vedo, bellissimi, rossi, e che rosso! dei giovani ricci di mare, attaccati saldamente alla roccia, che intensità! Mi sovvengono le stelle alpine…
Non si toccano né queste né quelli, come quando bambina lasciavo ciclamini, stelle alpine e rododendri… alla montagna.
Ora sto, protesa verso l’azzurro… tutto può aspettare.

Lascio che le visioni e i ricordi fluiscano in me, si intersecano e si sovrappongono immagini di monti e di mari, di greti di fiumi, di spiagge assolate, ghiacciai e timorose nuotate al largo.
Il respiro si fa profondo e l’essere uno con la natura trova dentro me una canzone che mi regalo.
Lontano la voce di un bambino… riprendo i miei salti verso la spiaggia.
Cammino spedita sotto il sole, mi giunge il pensiero di un gabbiano… talmente ero presa e centrata sul mio arrampicare tra gli scogli e le vette che… ma forse il gabbiano scrutava gli scogli…

Emma

25 aprile 2009



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