domenica 17 gennaio 2010

I GIORNI DI EMMA



Potrebbe essere il titolo di questa raccolta

Ormai non perdo più tempo a cercare spiegazioni, come nascono, perché, per quanto… i brani che scrivo.
So solo che da un certo punto della giornata un … indizio si mette dentro il mio pensiero. Oppure emergono emozioni che poi s’associano a qualche ricordo o ad un libro, un nome… e quel nòcciolo sta piantato dentro la mia testa, fa discorsi suoi, parla, spiega, s’allarga si restringe poi qualcosa mi porta qui e scrivo.

Oggi ero a Collepino, e tra le altre cose, sono andata per crespigne e raponzoli di roccia qui attorno, su questi versanti che si contendono la roccia rosa del Subasio e le distese di olivi.
Emma oggi s’è fatta sentire dopo tanto tempo. Dice che lavora… in un posto originale. Ma che ci farà, là.
Se vuole me lo dirà. Meglio glielo chiederò, magari la fa piacere sentire l’attenzione che ho per lei, passata in tanti anni attraverso il silenzio. Ma, viva.

Io conosco Emma grazie ad A.
Intanto lei ha il suo bambino, le sue giornate. Ora sono proprio curiosa di vedere che accade. Di solito, quando gli eventi accadono così, sono incanti.

Stasera penso a lei ma l’immagine nella mia testa è un’altra e non ci vedo il nesso, ma qui… non ci sono relazioni, regole, collegamenti, sintassi, rapporti causa-effetto… è tutto un altro mondo.
Ciò che continuamente s’affaccia in me è quel pomeriggio tra gli olivi di quell’eremo.
Era una casa di campagna serena, dolcemente adagiata tra il prato e il bosco. Tutta di pietra, io la guardavo e ci fantasticavo una bella villa. Il suo fascino era dato dalla sua età, dall’architettura umbra. I contadini umbri hanno un gusto nel fare le case, l’estetica è raffinata e sobria, una con la campagna, i dossi, gli olivi, le viti. Ma è molto molto di più, vanno solo viste queste case, e contemplate. Peccato che le hanno ristrutturate troppo.
Camminavo tra gli olivi, distratta, sentivo l’odore forte amaro di questo verde, c’erano anche molti rovi, ho lasciato la stradina per inoltrarmi sotto le piante.

Pensavo? È probabile, la mia testa funziona sempre… d’un tratto sotto i miei piedi sta una strana cosa.
Oh, ho pensato subito che l’avessero fatta i ragazzi che stavano in eremo quella settimana, ma questo non ha smorzato la presa, l’attrazione per … la cosa.
Un ovale di circa trenta centimetri fatto con le pietre. Anzi, due ovali, uno più interno, uno esterno e una croce in mezzo. Sotto questo ovale, l’erba era tolta e la terra appianata.

È stata un’emozione strana, un qualcosa che non sapevo dove collocare tra le cose che so, non molte. È stato un effetto nella mia testa.
Ho lasciato tutto così e sono andata al porticato della casa. Mi sono seduta un bel po’poi ho ripreso la mia strada. Quel disegno dentro, ma stavolta non sapevo che pensare… non è da me. Il fatto è che non mi andava neanche da fantasticare. Si potrebbe dire… uff, quante parole per una cosa strana. Appunto… il fatto è che restava quest’impressione dentro più intensa di ciò che quel cerchietto di pietre poteva essere.
(è un’impresa usare i tempi di verbi in modo corretto in un deja-vu).

Anni dopo leggo un libro su Sirio e trovo il sistema Sorgo-femmina, ecco ho davanti l’ovale.
Stasera di più non so, ma appena rientro recupero il libro e vado a curiosare.
Un altro ricordo ora s’affaccia. Quel giorno sulla spiaggia tra Vibo e Tropea, raccolgo i sassi e, non so perché mentre chiacchiero, li dispongo così… l’ovale e la croce al cento.
La persona che sta con me si gira di scatto e chiede… cancello subito il segno.
Questo tipo, che non mi corrisponde per niente eppure m’attira molto e, mi fa rabbia sta cosa, perché qualcosa di me lo cerca ma io… non lo voglio.

Chiudo tutto e non rispondo. Mi fumo una sigaretta e dico: “Fa freddo, andiamo via”, m’attira… ma è tutta una contraddizione.
Oggi mi dico che quella era una situazione da accostare al contrario, all’opposto.
Anzi, ora so, tutta questa storia va accostata... nel paradosso, nel suo contrario.
Mi sa che la dinamica del paradosso è un portale.
Perché scrivo ‘ste cose?
Qui non ci sono perché, al massimo può accadere che ci siano… “come”.
Sento che appena torno vado a trovare il sistema Sorgo-femmina.

Intanto girando per la biblioteca di questo posto in mi sto gustando amici e brezze umbre, un piccolo indizio l’ho trovato:
Sorgo-femmina è chiamata dai dogon… emme ya.

Il sole delle donne.

Riporto tale e quale: “Quel popolo (i dogon) assegnava a Digitaria maggiore importanza che alla più grande e luminosa compagna, benché non fosse visibile, e sapeva anche che un terzo corpo luminoso che chiamava Sorgo-femmina emme ya, “il sole della donne”, o “il piccolo sole” (designato da Temple come Siro C), a cui si accompagnava un pianeta satellite detto la “stella delle donne”. Sorgo-femmina, ritenuto più grande di Digitaria e quattro volte più leggero, era la sede delle anime femminili di tutti gli esseri viventi e futuri.
Quella stella delle donne è rappresentata da una croce con i bracci eguali e designata da tre punti, simbolo maschile dell’autorità, circondati da sette punti più grandi, o se vogliamo, quattro punti (femminili) più tre (maschili), visti come le anime dell’uno e dell’altro sesso”. (Merry Hope, Il segreto di Sirio, ed. TEA, pag.100).

Tengo sempre conto del fatto che: qualsiasi cosa: oggetto, evento, persona all’esterno di me altro non è che… il segno, l’indizio di un qualcosa di vero e sostanziale che sta dentro me.
Così per tutti, nel mio mondo.

Mi sa che non finisce qui…














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